Il termine mancanza potrebbe indurre a
pensare a qualcosa di negativo, ad un “meno”, a qualcosa che manca, che non c’è
ed effettivamente essa rappresenta qualcosa che non c’è, ma potrebbe esserci. E’ uno “spazio” che
può essere colmato nient’altro che dal desiderio. E’ proprio la mancanza a
permettere la nascita e lo sviluppo del desiderio. Prima di Lacan, Freud aveva
mostrato che il soggetto è costantemente alla ricerca dell’oggetto perduto, da sempre perduto, e il suo ritrovamento consiste
in qualcosa che non si è mai posseduto. Quest’oggetto diventa per Lacan, l’oggetto causa del desiderio, una
mancanza produttiva. Il desiderio emerge in relazione al
desiderio dell’Altro: esso non è desiderio di un oggetto ma desiderio di
riconoscimento, il soggetto desidera essere riconosciuto dal desiderio
dell’Altro. Ciò avviene in primo luogo tra la madre e il bambino. La madre, il
primo Altro, riconosce il figlio come soggetto particolare e unico non
donandogli un oggetto (le cure materiali) bensì la sua mancanza a essere, alternando
la sua presenza e la sua assenza e alimentando, in questo modo, il desiderio
del figlio. E’ proprio l’assenza come sinonimo di mancanza – e come condizione
di presenza – a muovere il soggetto verso il proprio desiderio e verso la vita
stessa.
Il desiderio può tuttavia essere
misconosciuto dal soggetto in favore del godimento:
la nostra epoca è caratterizzata da un appiattimento del desiderio sulla
soddisfazione immediata del bisogno. In questo caso, la mancanza non è né
attesa né motore del desiderio bensì un vuoto che il soggetto tende
illusoriamente a colmare.
Con il discorso
del capitalista Lacan mostra come il soggetto ipermoderno non si relaziona
con l’Altro ma con l’oggetto piccolo a.
La società capitalista produce una serie continua e infinita di oggetti e
bisogni nuovi con l’illusione di colmare il vuoto. Il vuoto è per struttura
incolmabile e la ricerca illimitata di oggetti (a) non può che produrre insoddisfazione.
La crisi della nostra società può forse
essere imputata all’inganno prodotto dal discorso del capitalista?
All'illusione cioè di poter colmare il vuoto?
Nel film di Sean Penn “Into the
wild - Nelle terre selvagge”, il giovane protagonista Christorpher Mc Candless,
alias Alexander Supertramp, subito dopo la laurea in scienze sociali, abbandona
la famiglia e gli amici per intraprendere un viaggio attraverso gli Stati
Uniti, fino a raggiungere l’Alaska. La sua è una vera è propria fuga dal
capitalismo: non riesce più a vivere in una società consumista dove tutto ciò
che conta è il possesso di oggetti materiali e decide di donare tutti i suoi
risparmi ad una associazione benefica; in una scena emblematica del film, Chris
brucia gli unici soldi che ha con sé poco prima di partire. La Natura, da lui
tanto ricercata nel suo viaggio, può essere metaforicamente interpretata come
una ricerca del proprio desiderio e quindi un’apertura e un’accettazione totale
della propria mancanza a essere. Chris è una persona che si interroga sui legami
sociali e sulla loro autenticità: parte da solo ma non è un solitario, ha una
grande capacità di vivere in relazione con gli altri arricchendo e
arricchendosi continuamente nel corso dei suoi incontri e quando finalmente
arriva in Alaska, giunge anche alla propria verità vale a dire che la
condivisione, la relazione con l’Altro sono condizioni indispensabili per una
vita piena. Il film si conclude infatti con una frase che Chris scrive su un
libro: “la felicità è reale solo se condivisa”.
Anche il percorso analitico potrebbe
essere letto come un viaggio alla ricerca del proprio desiderio e che permetta
di soggettivare la propria esistenza mitigando la propria mancanza.
- Dott.ssa Rossana Curatolo
- Dott.ssa Rossana Curatolo
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