lunedì 24 gennaio 2022

Social network e identità: chi vogliamo mostrare attraverso i nostri post?




I social network sono ormai utilizzati quotidianamente in maniera più o meno assidua e hanno dilagato in poco tempo conquistando più o meno tutti. È interessante provare a capire che cosa ha attirato le persone su queste piattaforme, quali potrebbero essere i rischi psicologicamente più profondi e i vantaggi, da un punto di vista psicoanalitico. 

Identità e immagine nel mondo dei Social

Identità è un concetto psicologico che ha a che fare con ciò che l’individuo pensa di se stesso. Nello specifico, essa coincide con l’Io, dunque con la rappresentazione che ciascuno ha di sé.

Se ci pensiamo, i Social permettono di infiocchettare l’Io, abbellendolo e smussandone gli aspetti meno positivi. I Social Network come Facebook o Instagram danno in effetti la possibilità di scegliere accuratamente il modo in cui presentarsi sul palcoscenico digitale, tramite immagini, frasi, video.

In questo contesto ma non solo, possiamo notare che esiste una forte identificazione tra l’Io e l’Ideale, che sembra trasformare il soggetto in oggetto: questo risulta dalla tendenza a fissarsi sull’immagine illusoria del proprio profilo Social e dall’intenzione a proporre questo Io come oggetto da “vendere”, nella sua massima esposizione agli altri.

Potrebbe essere che l’idea che vorremmo far passare è che l’immagine che emerge dal profilo costituisca la realtà, o meglio, che quella sia la verità sul corpo e sulla nostra identità. 

Reale, ideale, perfezione

In alcuni casi la serie delle immagini proposte è tutta uguale: questo richiama qualcosa della ripetizione (intesa come ripetizione sintomatica) un voler essere idealmente perfetti, non accettando la minima variazione che, umanamente, il corpo subisce di ora in ora per condizioni interne ed esterne. I filtri delle applicazioni fotografiche servono proprio a questo: a togliere, forse negare nei casi più gravi, ogni sbavatura, ogni differenza dall’Ideale. Il sembiante della foto perfetta viene confuso, mescolato con l’essere reale del soggetto.

“L’annullamento della differenza tra essere e sembiante, tra ciò che un soggetto è e come esso viene rappresentato dalla catena dei significanti sociali a cui aderisce, […] avviene […] per un eccesso di identificazione, per una cristallizzazione della maschera sociale, per una adesione inerte, per un suo incollamento conformistico. È ciò che Cristopher Bollas nomina come caratteristica principale delle personalità normotiche, nelle quali l’espressione della sofferenza individuale non avviene come esplosione delirante e anarchica della soggettività ma come distruzione del fattore soggettivo1.

I rischi dell’apparire

L’accesso di massa ai Social ha imposto una loro modalità di utilizzo che sembra ormai totalmente smarcata da quello che sembrava l’obiettivo originario, ovvero mettere in connessione persone che non si vedono da tempo o che altrimenti non si incontrerebbero mai. 
La condivisione di materiale prettamente visivo ha superato quella dei contenuti, sancendo un impoverimento ed un appiattimento dello scambio sul solo registro dell’immagine. 

I meccanismi che governano la società consumistica in cui viviamo si rafforzano sulla fragilità narcisistica delle persone per vendere delle identità artificiali, vacillanti e hanno finito per monopolizzare l’uso dei social in senso esibizionistico, asservendoli alla logica dell’apparire.  

Quali rischi si nascondono in questo impulso ad apparire? 

Sicuramente la prima conseguenza che salta all’occhio è la dipendenza. Il cellulare e le sue immagini diventano indispensabili per garantirsi un senso di adeguatezza personale, al punto tale da invadere molto tempo e spazio di una giornata, dallo studio, al lavoro, alle relazioni. Ciò a spese della qualità dell’attenzione dedicata al mondo vero, in un ripiegamento che anziché includere, esclude e aliena sempre di più.

Ne deriva un paradosso clamoroso: per inserirsi, per sentire di avere un posto, un ruolo, un’identità adeguata e “vincente” si finisce per mettersi in vetrina, senza rendersi conto della prigione che essa rappresenta. Quel vetro, si rivela infatti un muro invalicabile, che inchioda nel bisogno di dover dimostrare qualcosa, per di più ad uno spettatore anonimo. Il rapporto con l’altro è così mancato, tutta la dinamica diventa un riferirsi solamente a se stessi, ad un interlocutore che diventa una proiezione di sé. 

Per concludere

I social network sono nati, almeno apparentemente, con lo scopo di mettere in connessione persone che altrimenti non avrebbero altre opportunità di conoscersi, permettendo scambi di informazioni e idee in tempo reale. Un’opportunità incredibile, che, se ben gestita da personalità mature e strutturate, può allargare orizzonti, consentire esperienze conoscitive interessanti e diffondere cultura.

Quando invece i Social si trasformano in una sorta di protesi narcisistica di se stessi, questo può fornirci uno spunto al lavoro psicologico e terapeutico. Vale la pena considerare il ruolo che può avere l’utilizzo dei Social Network in persone psicologicamente già fragili da un punto di vista strutturale e narcisistico, oltre a cogliere precocemente i campanelli di allarme di un utilizzo scorretto di queste piattaforme virtuali soprattutto nei giovanissimi e negli adolescenti.

Smarcarci dalla cultura dell’esibizione, metterla in discussione, sono passi importanti per la limitazione di un’onda i cui effetti potrebbero essere peggiori in futuro.

 





[1.Recalcati, M. (2010), Luomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica. Cortina, Milano.]




Dott.ssa Rossana Curatolo
 

venerdì 7 gennaio 2022

Le parole di Jacques Lacan

 

"Io dico sempre la verità: non tutta, perché a dirla tutta non ci si riesce. Dirla tutta è impossibile materialmente. Mancano le parole. È proprio per questo impossibile che la verità attiene al Reale".

Jacques Lacan, Télévision